Storia della Chirurgia del Naso
La rinoplastica: il primo vero intervento di chirurgia ricostruttiva documentato
Tracce storiche sporadiche di interventi di chirurgia ricostruttiva del naso compaiono già nel mondo dell'Egitto antico nel 1500 a.C con citazioni risalenti al 3000 a.C (papiro di Ebers o Smith). Se in India i chirurghi della scuola di Sushruta nel 1300 A.C. praticavano rudimentali ricostruzioni del naso tagliato per le feroci punizioni inflitte a coloro che si erano macchiati del reato di adulterio, tradiemento e rapine (lembi di tessuto dalla fronte e dalle guance), in occidente Cornelio Celso (I secolo d.C.) descrive l'intervento per trattare ferite del volto ed in particolare naso ed orecchie, per riparare le mutilazioni subite dai soldati in battaglia durante le campagne militari (lembi di scorrimento). L'amputazione nasale simboleggiava l'amputazione dell'organo sessuale senza però condurre a morte per emorragia il malcapitato. L'amputato poteva continuare a vivere portando -per sempre- con se i segni perenni della punizione inflittagli. Dopo Celso, con l'unica eccezione di Oribasio (325-403 d.C.) ad Alessandria d'Egitto, di ricostruzione nasale non se ne parlò più per vari secoli e quando se ne riparlò divenne una storia quasi esclusivamente italiana.
Prima che tale metodo venga davvero codificato secondo una prassi scientifica bisognerà comunque attendere il Rinascimento italiano, con la tradizione chirurgica dei Branca di Catania (XV sec.), dei Vianeo di Tropea (XV-XVI sec) ed il bolognese Tagliacozzi (1545-1599). Era il “metodo italiano”.
La rinoplastica dei Branca da Catania
La famiglia siciliana dei Branca elaborò due procedure per la ricostruzione del naso. Il padre Gustavo, che nel 1432 ottenne l'autorizzazione per se ed i suoi discendenti dal re di Sicilia Ferdinando I, impiegava la cute prelevata dalla guancia per ricreare il naso, attraverso lembi cutanei locali seguendo i dettami della antica scuola indiana di Sushruta (1300 a.C.). Poiché tale metodica lasciava grossolane cicatrici sul volto, Antonio Branca, il figlio, concepì una nuova metodica che si avvaleva di un lembo cutaneo-muscolare scolpito non più nel volto, ma sulla faccia interna del braccio, stabilendo la realizzazione del primo lembo cutaneo a distanza nella storia della chirurgia ricostruttiva. La procedura di quest'ultimo richiedeva che il lembo, ancora attaccato al braccio, venisse unito al moncone corroso del naso per almeno 20 giorni. Questa tecnica, pur essendo più laboriosa e quasi atroce per il paziente, aveva il vantaggio di non lasciare cicatrici ulteriori sul viso. I chirurghi di quel tempo e sino a tutto il XV secolo, erano privi di ogni base culturale medica e scientifica. Spesso erano solo dei barbieri che avevano imparato, con il solo ausilio dell'esperienza e diligenza, ad usare il rasoio. Pertanto avevano l'abitudine di non divulgare le loro tecniche tenendole persino segrete, lasciando che si estinguessero quando l'ultimo discendente della famiglia fosse morto. E così fu per i Branca alla fine del XV secolo.
La rinoplastica dei Vianeo di Tropea
Spariti i Branca da Catania, la rinoplastica riappare alla fine del XV secolo e sino alla metà del seguente in Calabria, dove la famiglia Vianeo, originaria di Maida ma trasferitasi a Tropea, città imperiale e quindi assai più redditizia per libero professionisti come essi erano, ricostruivano nasi con grande successo e ricchezze. I fratelli Pietro e Paolo erano più famosi per lo discrezione con cui gelosamente nascondevano le proprie tecniche che non per le tecniche stesse. Mentre Antonio Branca utilizzava una tecnica di prelievo muscolo-cutanea, i Vianeo si fermavano alla pelle.
I Vianeo e prima ancora i Branca, limitavano la trasmissione del loro sapere ai soli membri della famiglia, attraverso il tramandamento della tecnica di padre in figlio. Ciò, certamente, se da un canto assicurava la possibilità di garantirsi l'esclusiva nello sfruttamento di una ricchezza, dall'altro una simile impostazione protezionistica basata sulla mancanza del confronto e della crescita, non permetteva alle branche chirurgiche di svilupparsi adeguatamente, bloccandole molto spesso su posizioni basate più sulla tradizione stagnante e non sul confronto scientifico.
Il furto della tecnica
Nell'autunno del 1549, un giovane medico emiliano Leonardo Fioravanti, giunto a Tropea, celata la sua identità, apprese, con l'inganno, le tecniche che i chirurghi calabresi, con grande spirito di ospitalità, gli avevano mostrato per tutta la durata del suo soggiorno, malgrado l'alone di segretezza che loro stessi avevano messo a punto. Tornato a Bologna, cominciò ad occuparsi egli stesso di questo tipo di chirurgia, purtroppo, senza grandi successi. Nel 1570 pubblicò il “Tesoro della vita umana” opera nella quale la tecnica dei Vianeo è definitivamente resa nota, in tutti i suoi particolari.
Si può affermare, quindi, che il contributo del Fioravanti allo sviluppo della rinoplastica sia fondamentalmente divulgativo e che l'intenzionalità di entrare in possesso dei segreti dei fratelli Vianeo era animata più dalla volontà di levarne il velo di segretezza che non da interessi economici e di prestigio personali. Non si capisce comunque, perché il Fioravanti attese ben ventuno anni prima della divulgazione delle tecniche dei Vianeo.
La rinoplastica di Gaspare Tagliacozzi
Adulteri, ladri, traditori e vinti in battaglia, vedevano amputato il proprio naso, motivo per cui la ricostruzione del naso era un intervento molto richiesto a quell'epoca. Il brillante giovane anatomista Tagliacozzi (1545-1599), letto il libro di Fioravanti, provò l'operazione, la modificò e la perfezionò, pubblicando un capolavoro illustrato “De curtorum chirurgia per insitione”(1597, Venezia).
Pietra miliare della chirurgia, oggi considerata il primo trattato vero di chirurgia plastica della storia, la ricostruzione del naso amputato per ferite o malattie (TBC, sifilide, Lupus etc.) è documentata con perfezione descrittiva ed accurate illustrazioni, con commenti di confronto tra diverse procedure, indicazioni, complicazioni e controindicazioni e terapie collaterali.
La tecnica ricostruttiva del Tagliacozzi è stata utilizzata fino a tempi recenti ed è tuttora nota con il nome di “lembo italiano”. Come il giovane Branca, scelse di usare la pelle ed il muscolo del braccio: effettuava due incisioni parallele sul bicipite, allentava la pelle tra questi due tagli e inseriva una benda medicata sotto la pelle. Lasciava tutto intatto per quattro giorni, poi medicava giornalmente la ferita in modo da favorire la formazione della cicatrice sotto la pelle allentata.
Dopo quattordici giorni, tagliava la pelle incisa a un'estremità; dopo altre due settimane raschiava il moncone nasale e innestava il lembo ancora attaccato sul naso, tenendo il braccio in posizione con una forte imbracatura. Dopo venti giorni tagliava il lembo dal braccio e dopo altre due settimane cominciava a modellare il naso congiungendolo al labbro superiore. Sei fasi (come minimo) e più di un mese dopo era presente un naso rudimentale. Di certo a nessuno sfugge il grande sottinteso di questa avveniristica pratica chirurgica, e cioè il grande dolore e l'altissimo rischio d'infezione a cui il paziente, senza anestesia né disinfezione alcuna, era esposto, che portava nella maggioranza dei casi ad esiti fatali.
Morto il maestro bolognese, la sua tecnica trovò molti invidiosi e delatori, la medicina ufficiale se ne apprezzava la procedura, ne contestava l'utilità ed il clero la riteneva sacrilega, in quanto si arrogava il diritto di un'imitazione, se non di tutto l'uomo, almeno di quella parte che Dio aveva deciso di portare a se. La Chiesa, da sempre contraria alla chirurgia come all'anatomia, in quanto arte non intellettuale ma manuale, aveva già emesso bolle papali, allontanando quelle scienze basate più sulla esperienza e non sulla filosofia. I delatori, Falloppio, Vesalius, Campanella, Gerolamo ed altri gettarono discredito sulla tecnica sostenendo fatti fantasiosi e grotteschi. La calunnia più frequente era che il nuovo naso veniva preso da un donatore, spesso prezzolato, e quando egli moriva anche il naso trapiantato cadeva in necrosi. La Chiesa arrivò a fare esumare la salma del Tagliacozzi dalla tomba nella chiesa del Monastero delle suore di San Giovanni Battista, trasferendola in terra sconsacrata. Mistero aleggia sulle salme dei Vianeo a Tropea trafugate in tempo prima che analogo destino le cogliesse. Ad ogni modo la rinoplastica non fu esente da quel declino che tutta la chirurgia seguì nel periodo a seguire, XVII e XVIII secolo subì. La rinascita avvenne sulo agli albori del XIX secolo quando arrivarono dall'Inghilterra notizie sulle tecniche ricostruttive che gli Hindù adoperavano da secoli in India. Era il “metodo indiano”. Ma questa è un'altra storia…
La rinoplastica orientale e l'oscurantismo europeo
Non bisogna dimenticare che ogni più piccolo progresso in campo chirurgico ricostruttivo in questi anni è rappresentato più da casi isolati di pensatori liberi e innovatori che agirono in modo indipendente in un contesto, quello della cultura ecclesiale, che osteggiava fortemente queste pratiche. Per questo non deve sorprendere se la tecnica messa a punto dai Branca e Vianeo ed il rigore scientifico del Tagliacozzi caddero completamente nell'oblio. Infatti, il chirurgo, ricostruendo il naso a individui sifilitici, interveniva su quella che era vista come una giusta punizione per un comportamento immorale e l'uomo non può permettersi l'intromissione negli affari di giustizia divina.
Con il dominio coloniale dell'Impero Britannico in India, nel 1794 apparve un articolo pubblicato con le iniziali B.L., verosimilmente uno pseudonimo del famoso chirurgo militare britannico Cully Lyon Lucas. Il giornale londinese “Gentlemen's Magazine” riportava dunque la descrizione dettagliata di un innesto di pelle collegato alla fronte a sostituzione di un naso amputato, con tanto di ritratto del paziente, un persiano conducente di tori di nome Cowasjee.
L'intervento venne effettuato riproducendo sulla fronte di Cowasjee le tracce del naso da un modello in cera e allentando la pelle della fronte. Lasciando un lembo di collegamento, venne scollata la pelle dalla fronte e la attorcigliò posizionandola verso il basso, a formare il naso, con una tecnica ricostruttiva nota poi con il nome di “lembo cutaneo a pedicello”. Dopo venticinque giorni anche il lembo di collegamento alla fronte venne tagliato, lasciando una vasta cicatrice sulla fronte. A differenza della tecnica del Tagliacozzi, che prelevava la pelle dal braccio immobilizzandolo a contatto con il naso, la tecnica indiana lasciava più libertà di movimento al paziente, che però doveva sopportare la ferita alla fronte.
In ogni caso, secondo quanto riportato dalla stampa britannica nel 1794, furono le pratiche “orientali” e “barbariche” di amputazione del naso a dare impeto allo sviluppo della rinoplastica di tipo ricostruttivo nella medicina tradizionale indiana, a differenza delle antiche cure per i nasi sifilitici dell'Europa occidentale, cadute ormai nell'oblio. Seguendo il modello britannico, che conosceva bene, il chirurgo tedesco Eduard Zeis (1807-1868) scrisse, nel 1838, che la rinoplastica ricostruttiva “deve le sue origini all'abitudine, praticata fin dall'antichità e fino ai giorni nostri, di punire ladri, disertori e specialmente adulteri tagliando loro naso e orecchie. Non meraviglia quindi che l'arte di ricostruire i nasi si sia sviluppata molto più tardi in Europa, dove questa orribile consuetudine non esisteva…”. Secondo questo testo fu dunque la barbarie orientale a condurre allo sviluppo di procedure plastiche. In realtà in Europa la grande spinta propulsiva al progresso della chirurgia ricostruttiva fu dato proprio dalle stigmate ignominiose della sifilide, indice di una vita sessuale non certo ineccepibile. Soltanto verso gli inizi del XIX secolo quando venne meno l'azione di osteggiamento dal mondo ecclesiatico verso tutte le forme di chirurgia, quella ricostruttiva del naso cominciò a svilupparsi.
L'ottocento e la rinoplastica
Una grande spinta verso il progredire delle tecniche chirurgiche ricostruttive ed estetiche, quindi, da sempre è stata, non tanto il desiderio di essere più belli, quanto piuttosto la grande volontà di cancellare dal proprio corpo alcuni segni, specchio di sofferenze psicologiche profonde, siano esse ricordi di guerra, di malattie o peggio, di un trascorso di dubbia morale. È questo il caso dei molteplici nasi sifilitici che hanno dato vita a procedure di rinoplastica anche alquanto fantasiose, al limite del romanzo. In Europa bisogna attendere gli inizi dell'Ottocento con il francese Joseph Constantin Carpe che si ispirò alla tecnica millenaria praticata dai medici indiani (peduncolo frontale). Un secolo prima un altro chirurgo francese, René Garangeot, aveva pubblicato il resoconto di un'operazione di reimpianto nasale dopo sezione completa. Il procedimento di Garangeot replicava, sommariamente, quello descritto nel Cinquecento dal medico italiano Leonardo Fioravanti e successivamente da Tagliacozzi. Come è semplice intuire da queste prime, generiche notizie, la storia della rinoplastica è “mappabile” attraverso il nome dei metodi utilizzati. Se si escludono infatti poche e talvolta insignificanti eccezioni, le tre pratiche storicamente più diffuse erano denominate metodo indiano, italiano e francese, basato quest'ultimo sulla rielaborazione del metodo indiano. Questo mirabolante intervento venne replicato poi senza successo da Johann Friedrich Dieffenbach (1794-1847), chirurgo berlinese considerato tra i padri della chirurgia estetica moderna, ma la chirurgia ricostruttiva ufficiale seguì piuttosto il filone introdotto dal Tagliacozzi e la sua tecnica del lembo cutaneo collegato al braccio, metodica peraltro adottata in casi sporadici addirittura fino ad un paio di decine d'anni fa.